AFFITTI CONCORDATI

 

Affitti concordati: il canone non può
eccedere i criteri stabiliti dagli accordi territoriali 


Nel caso di un contratto di locazione a canone concordato, la Cassazione ha stabilito che, se l’importo del canone convenuto dalle parti è superiore a quello determinato secondo i criteri stabiliti dagli accordi territoriali in vigore al momento della stipula, la proprietà può essere condannata dal giudice a restituire l'importo versato in eccedenza dal conduttore. Si tratta – questo – di un caso divenuto abbastanza frequente in questi ultimi tempi, dovuto in alcuni casi ad errori dettati da inesperienza, in molti casi da assoluta ignoranza della legge da parte di chi redige i contratti, in molti casi dall’essersi affidati a presunti esperti, che tali non sono.

Il tutto nasce da un ricorso per decreto ingiuntivo con il quale il proprietario ingiungeva al conduttore il pagamento di una somma dovuta per canoni di affitto arretrati. Il conduttore, tuttavia, contestava tale ricostruzione e faceva opposizione al decreto ingiuntivo. Il giudizio di opposizione terminava con l'accoglimento della domanda del conduttore, in quanto il giudice riconosceva che, essendo stato il contratto stipulato con le forme concertata di cui all'articolo 2 commi III e IV della legge 431 del 1998, allora il canone avrebbe dovuto essere inferiore a quello effettivamente corrisposto dal conduttore. Con la sentenza, quindi, non solo il giudice non riteneva dovute le somme richieste dal proprietario, ma anzi condannava lo stesso a restituire al conduttore una somma risultante dalle eccedenze corrisposte nel tempo a titolo di canone di locazione. Il locatore, quindi, agiva in sede di appello contestando la sentenza. Il giudice del riesame, però, confermava integralmente la precedente sentenza.

Al proprietario, vista la duplice soccombenza, non restava che rivolgersi in Cassazione depositando un ricorso incentrato su un unico motivo: a suo avviso la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che le parti avessero convenuto un canone di locazione superiore a quello effettivamente dovuto sulla base della libera volontà negoziale delle parti.

La Suprema corte, però, rigettava il ricorso dichiarandolo inammissibile. Secondo la Cassazione, infatti, il ricorso del proprietario si concretizzava nella richiesta di un riesame nel merito sulla valutazione degli elementi probatori operata dalla Corte d'appello. Tale valutazione di merito era inammissibile in sede di Cassazione, e conseguentemente il ricorso andava incontro alla dichiarazione di inammissibilità.

A parere della Cassazione, in ogni caso, era stato corretto il ragionamento della Corte d'appello in ragione del quale il contratto di locazione doveva essere letto conformemente alla volontà delle parti di assoggettarsi al regime del canone concordato ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 431 del 1998. In conseguenza di tale asserzione, quindi, l'eventuale somma stabilita a titolo di canone in eccedenza a quanto previsto dalle associazioni di settore (così come stabilito dall'articolo 2 commi III e IV della legge sopra menzionata) doveva essere considerato come non dovuto, e il proprietario che l'avesse indebitamente percepito doveva essere condannato alla restituzione.